Qualcuno deve lottare per avere avere quello che gli spetta (parte prima)

Può sembrare normale vedere una donna in carrozzina elettrica uscire di casa e andare  al mercato, al bar, a messa, a trovare gli amici.
Oggi è scontato che un Comune si attivi perché ogni disabile possa frequentare la scuola.
Queste cose, apparentemente così semplici, a qualcuno sono costate anni di lotta, di pazienza, di rinunce.
Poter andare a scuola, poter uscire di casa in modo autonomo senza pericoli fanno una grande differenza, modificano di molto la qualità della vita di persone a cui il destino ha regalato delle difficoltà fin dalla nascita.
Che qualcuno debba conquistarsi pezzo per pezzo tutto ciò che è garantito dalla Costituzione non è giusto, non è accettabile, non è umano.
Una società giusta deve permettere a un ragazzo con disabilità (di qualunque tipo)  di diventare grande: istruito, in salute, affettuoso, attivo, considerato come persona particolare con qualcosa di caratteristico da offrire e  non semplicemente un disabile.  Ogni bambino ha diritto a un’istruzione adeguata in un ambiente con le minori limitazioni possibili e basata su un piano educativo individualizzato.
Una società giusta deve predisporre le condizioni per lo  sviluppo delle capacità di ogni persona e per la sua messa in pratica. Quindi ad esempio non si tratta solo di riconoscere che un disabile ha bisogno di risorse aggiuntive per far fronte ai propri bisogni quotidiani; occorre far si che l’ambiente e le regole sociali non aggiungano ostacoli ad una vita già difficile (es barriere architettoniche, pregiudizi)
Perché questo accada  devono cambiare la concezione della dipendenza e della cura. La condizione di dipendenza deve essere compresa e sostenuta. Tutti viviamo periodi della vita in cui siamo dipendenti da altri (come l’infanzia e la vecchiaia). Tutti possiamo diventare dipendenti da un momento all’altro.
Le barriere architettoniche hanno da sempre impedito ad Angela di vivere una vita dignitosa.
Ogni volta che dal terrazzo della mia casa materna la vedo passare con la sua carrozzina elettrica da sola non posso fare a meno di pensare a quanto tempo è dovuto passare prima che potesse arrivare a questa meta.
Quanti ostacoli ma anche quanto coraggio e capacità di lottare con gli altri e anche con il proprio carattere tendenzialmente timido e schivo.
Angela è nata con una malformazione agli arti superiori e inferiori.
Oggi ha 52 anni e fino all’età di 17 anni è vissuta nel  centro storico, posto nella parte alta del paese, priva, allora, di strada carrozzabile.. Perciò dal momento in cui suo padre non l’ha più potuta portare in braccio, la sua vita si è svolta tra le mura di casa o, al massimo, nel piccolo androne della casa dove poteva stare con altri bambini del quartiere.
Credo di essere stata tra le  prime persone al di fuori della famiglia e del vicinato ad entrare nella sua vita. Voleva fare la prima comunione ed io andavo a casa sua per prepararla.
Entrambe conserviamo in modo molto vivo il ricordo del primo incontro: l’emozione, l’imbarazzo, la difficoltà a comunicare, perché entrambe timide. Ma è nata un’amicizia che è durata nel tempo anche se in alcuni periodi ci siamo incontrate molto poco. Credo di poter dire che siamo  l’una nel cuore dell’altra.
Mi piace incontrarla casualmente per strada o darle appuntamento in un bar. Gli incontri mi regalano sempre tanto calore: a sentirla parlare animatamente e in modo spigliato mi viene sempre in mente quella ragazzina che diceva poche parole, per di più con le lacrime che le scendevano sul viso, come racconta lei stessa parlando di quei tempi.
 
Maria Costanza Saccoccio