Qualcuno deve lottare per avere avere quello che gli spetta (parte prima)
Può
sembrare normale vedere una donna in carrozzina elettrica uscire di casa e
andare al mercato, al bar, a messa, a
trovare gli amici.
Maria
Costanza Saccoccio
Oggi
è scontato che un Comune si attivi perché ogni disabile possa frequentare la
scuola.
Queste
cose, apparentemente così semplici, a qualcuno sono costate anni di lotta, di
pazienza, di rinunce.
Poter
andare a scuola, poter uscire di casa in modo autonomo senza pericoli fanno una
grande differenza, modificano di molto la qualità della vita di persone a cui
il destino ha regalato delle difficoltà fin dalla nascita.
Che
qualcuno debba conquistarsi pezzo per pezzo tutto ciò che è garantito dalla
Costituzione non è giusto, non è accettabile, non è umano.
Una
società giusta deve permettere a un ragazzo con disabilità (di qualunque
tipo) di diventare grande: istruito, in
salute, affettuoso, attivo, considerato come persona particolare con qualcosa
di caratteristico da offrire e non
semplicemente un disabile. Ogni bambino
ha diritto a un’istruzione adeguata in un ambiente con le minori limitazioni
possibili e basata su un piano educativo individualizzato.
Una
società giusta deve predisporre le condizioni per lo sviluppo delle capacità di ogni persona e per
la sua messa in pratica. Quindi ad esempio non si tratta solo di riconoscere
che un disabile ha bisogno di risorse aggiuntive per far fronte ai propri
bisogni quotidiani; occorre far si che l’ambiente e le regole sociali non
aggiungano ostacoli ad una vita già difficile (es barriere architettoniche,
pregiudizi)
Perché
questo accada devono cambiare la
concezione della dipendenza e della cura. La condizione di dipendenza deve
essere compresa e sostenuta. Tutti viviamo periodi della vita in cui siamo
dipendenti da altri (come l’infanzia e la vecchiaia). Tutti possiamo diventare
dipendenti da un momento all’altro.
Le
barriere architettoniche hanno da sempre impedito ad Angela di vivere una vita
dignitosa.
Ogni
volta che dal terrazzo della mia casa materna la vedo passare con la sua
carrozzina elettrica da sola non posso fare a meno di pensare a quanto tempo è
dovuto passare prima che potesse arrivare a questa meta.
Quanti
ostacoli ma anche quanto coraggio e capacità di lottare con gli altri e anche
con il proprio carattere tendenzialmente timido e schivo.
Angela
è nata con una malformazione agli arti superiori e inferiori.
Oggi ha 52 anni e fino
all’età di 17 anni è vissuta nel
centro storico, posto nella parte alta del paese, priva, allora, di strada carrozzabile.. Perciò dal momento
in cui suo padre non l’ha più potuta portare in braccio, la sua vita si è
svolta tra le mura di casa o, al massimo, nel piccolo androne della casa dove
poteva stare con altri bambini del quartiere.
Credo
di essere stata tra le prime persone al
di fuori della famiglia e del vicinato ad entrare nella sua vita. Voleva fare
la prima comunione ed io andavo a casa sua per prepararla.
Entrambe
conserviamo in modo molto vivo il ricordo del primo incontro: l’emozione,
l’imbarazzo, la difficoltà a comunicare, perché entrambe timide. Ma è nata
un’amicizia che è durata nel tempo anche se in alcuni periodi ci siamo
incontrate molto poco. Credo di poter dire che siamo l’una nel cuore dell’altra.
Mi
piace incontrarla casualmente per strada o darle appuntamento in un bar. Gli
incontri mi regalano sempre tanto calore: a sentirla parlare animatamente e in
modo spigliato mi viene sempre in mente quella ragazzina che diceva poche
parole, per di più con le lacrime che le scendevano sul viso, come racconta lei
stessa parlando di quei tempi.