Non è mai troppo tardi

LETTERA DEL MAESTRO MANZI
“Cari ragazzi di quinta,
Abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti.
Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore.
Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. E’ vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. e in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti “sangue dello stesso sangue”. Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi.
Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o “addomesticare” come vorrebbe.
Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D’altra parte voi non ne avete bisogno. Siete capaci di camminare da soli a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo.
Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, se voi non lo volete.
Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è gia in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, e ancora onesta, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare, e… amore, amore.
Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi.
E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao.”
Alberto Manzi

Per tutti noi della classe V A della Scuola elementare Fratelli Bandiera, a Roma, Alberto Manzi non era l’uomo della Tv, quello che le anziane del quartiere ancora riconoscevano e ogni tanto fermavano per la strada. Non era il maestro di “Non è mai troppo tardi”, la trasmissione Rai che aveva insegnato a leggere e a scrivere un milione di italiani (questa sera la prima parte della fiction su Rai Uno a lui dedicata). Non era nemmeno l’autore di "Orzowei", il pluripremiato libro per ragazzi di cui a mala pena riconoscevamo la sigla dello sceneggiato in tv (quella dei mitici Oliver Onions).
Alberto Manzi era semplicemente il Maestro. Soprattutto era il “nostro” maestro. Quello che ogni tanto scompariva dalla classe per qualche giorno – lasciandoci nelle mani di supplenti disperate - per presentarsi davanti alle varie Commissioni del Ministero della Pubblica Istruzione, richiamato all’ordine per aver infranto qualcuna delle regole scolastiche. I voti in pagella, per esempio: una sorta di marchio che si rifiutava di apporre su un bambino che sarebbe cambiato di lì a qualche mese, imparando, evolvendo, crescendo. Non era un uomo remissivo: lo sentivamo imprecare fuori della porta della classe, con la rabbia di chi sa di stare subendo un’ingiustizia. Eppure poi tornava da noi, dopo la sospensione, mai scoraggiato e mai domato nelle sue convinzioni. E così, insieme, si aspettava la sospensione successiva.
Era l’uomo che, quando eravamo stati particolarmente buoni, srotolava davanti ai nostri occhi sgranati la gigantesca pelle di anaconda che conservava nell’armadietto dei tesori, insieme ad animali sotto spirito, ossa, pietre, testimonianze dei suoi viaggi misteriosi. Raccontava delle sue incursioni, più o meno clandestine, in Sud America, del suo amico – il missionario Don Giulio – con il quale condivideva altre ribellioni alle tirannie ma anche l’impegno per l’alfabetizzazione delle popolazioni locali. Racconti a metà tra la verità e la leggenda, di cui solo in età adulta abbiamo capito il valore. Allora erano solo le straordinarie avventure di un uomo straordinario.
Era quello che ci insegnava a parlare senza paura di sbagliare. Che invece di darci le risposte preconfezionate ci chiedeva “tu che ne pensi”, ed era veramente interessato alle nostre opinioni sui grandi temi: la democrazia, la politica, l’immigrazione (ed erano gli anni Settanta). Era quello che ci guidava nel mondo, letteralmente: con il suo aiutante Rodolfo, grazie al quale aveva introdotto le basi dello scoutismo nella classe, abbiamo passato più tempo fuori dalle aule scolastiche che dentro. Gite e scorribande ovunque, per giocare, stare insieme e aprirsi alla vita, nel bene e nel male: sul bordo della caldera del Vesuvio, al teatro greco di Siracusa o nei campi di Dachau. Era quello che ci insegnava ad avere fiducia in noi stessi, a sviluppare la curiosità per i fatti del mondo, a conservare il rispetto per le cose e per le persone. Era davvero il nostro Maestro.
da Galileo di Elisa Manacorda