Eduard: “segnalato” come alunno “incontrollabile”, “aggressivo e violento”

Eduard è nato in Romania e, dopo il divorzio dei suoi genitori, la mamma per mantenere se stessa e i figli, è emigrata in Italia. Eduard, che aveva sei anni, è rimasto per tre anni solo con il padre e con i nonni paterni. Ha patito molto questa separazione anche perché il padre era un violento che spesso, alla prima mancanza, lo picchiava. Quando a scuola in Romania  veniva punito, lui si ribellava, scappava e tornava a casa, prendeva il suo cane e vagava per i boschi. L’unico suo punto di riferimento era il nonno che lo portava in giro con il carro trainato dai buoi a far consegne nella fattorie vicine. “Mi sembrava - mi raccontava sempre - di vedere il mondo con lui, era come intraprendere sempre nuovi viaggi”. A otto anni si è ricongiunto alla mamma in Italia e ha cominciato a frequentare la classe IV elementare.
Ora che ha 18 anni mi dice: “Non può immaginare, se non ci è passata, quanto sia difficile arrivare in un luogo dove non conosci nessuno. Volevo rivedere mia mamma che tanto mi era mancata, ma nello stesso tempo mi sentivo sperso e spaventato”.
A scuola in Italia si è portato il suo bagaglio: le difficoltà di una lingua che non conosceva, programmi diversi, tempi diversi, traumi mai ricomposti. E’ stato subito preso di mira dai compagni, così come succede a chi arriva come straniero nel gruppo e ha reagito in modo aggressivo. Quando è arrivato nella scuola media, era già  “segnalato”  come alunno “incontrollabile”, “aggressivo e violento” e con “scarse competenze imputate alla sua mancanza di volontà ed impegno”. Nella scuola media alcuni insegnanti riscontrano con lui subito difficoltà e cominciano le note di biasimo. Precipita nella stessa modalità in cui si era trovato prima.
Io non c’ero nei primi giorni di scuola per motivi di famiglia e, quando sono tornata dopo solo una settimana di assenza, subito i compagni mi hanno detto che Eduard era un ragazzo molto aggressivo, senza che io avessi fatto loro nessuna domanda. E anche i miei colleghi mi hanno avvertito immediatamente che era un ragazzo da tenere “da subito” sotto controllo.
Comincia così la mia storia con lui. Una storia di continuo dialogo, di accordi presi giorno per giorno, ma con la promessa che io non l’avrei mai mollato e l’avrei aiutato senza condizioni.
Quasi sempre lui mi diceva “Non ci credo, alla fine anche lei mi mollerà”. Era diffidente e non è stato facile ottenere la sua fiducia.
Il problema non è stato lui, ma i colleghi che per primi non credevano nella sua possibilità di riscatto. Alla fine, pian piano, è migliorato, ma non è riuscito ad accettare tutti gli insegnanti. Cercavo di seguirlo anche nelle altre materie ed è uscito in modo dignitoso dalla scuola media.

Sono andata a incontrarlo dopo tre anni. Si era iscritto ad una scuola professionale pensando fosse il percorso adatto lui. Ha trovato molte difficoltà, mi ha raccontato, ma ha deciso di non mollare. Vuole prendersi il diploma, poi non sa cosa farà. “Ho messo la testa a posto”, mi dice con quel suo sorriso sornione. “Prof., come ha fatto a sopportarmi?”, “e tu come hai sopportato me?” gli chiedo. Mi guarda con quel suo sorriso dolce che regala solo a chi sente di potersi affidare. Ci lasciamo con la promessa di rivederci. Ha le lacrime agli occhi, ma tiene duro e mi stringe con forza la mano.
La sua maestra Lorenza