In un "vero" dialogo si è sempre pari

Questo periodo di "forzata stasi", è stato anche un momento di riflessione e di elaborazione di nuove idee. Ci è sembrato, infatti, che, nonostante il molto parlare di ascolto, manchi spesso la disponibilità non solo ad ascoltare bambini e ragazzi, ma anche a comprendere che essi hanno davvero qualcosa da dirci e soprattutto da insegnarci. Dobbiamo uscire dalla presunzione di sapere sempre cosa sia giusto e utile per loro.
Questo non vuol dire accettare in modo acritico quello che hanno da dirci, ma riuscire a discutere con loro, mettendoci in una relazione costruttiva in cui ognuno ha qualcosa da dare all'altro.
Per questo vogliamo incontrare ragazzi che vivono situazioni diverse, che fanno diversi percorsi scolastici o che hanno finito la scuola. Vogliamo chiedere loro come hanno vissuto la loro esperienza, e, partendo dalla loro concreta e individualissima storia, cosa vorrebbero dire alla scuola di oggi e a professori e coetanei.
Spesso si dice che i ragazzi non diano nessuna importanza alla scuola e che per loro sia insignificante. Ma, al di là dei luoghi comuni, siamo davvero sicuri che sia così? Vogliamo domandarlo anche a loro.
Non abbiamo in mente colloqui con domande fisse, ma ci lasciamo e lasceremo guidare anche da ciò che loro ritengono più urgente comunicare.
Vorremmo creare uno spazio di ascolto in cui possano sentire finalmente avere la possibilità di raccontarsi in modo libero, fuori dagli schemi e fuori dalla struttura scuola.
Per questi incontri abbiamo chiesto la collaborazione di associazioni che hanno modo di seguirli ed incontrarli anche al di là dell'istituzione scuola.
Troppo spesso educatori e insegnanti sono legati ad un ruolo che  ingabbia e non aiuta ad uscire da certi schemi che impediscono un dialogo che ci possa mettere in discussione. Il dialogo per essere tale non deve essere una simulazione, ma  ognuno nella relazione deve sentirsi valorizzato e per la competenza che comunque ha. Anche un bambino è competente e sa dire cose su di sé e sugli altri con il proprio linguaggio.
"Un vero maestro non è tanto un padre, quanto un fratello maggiore, che presto diviene semplicemente un fratello. Forse essere un maestro significa, oggi più che mai, non sapere di esserlo e non volerlo, dimenticare se stesso nel dialogo che si instaura con un altro, trattarlo da pari senza superbia, senza condiscendenza e senza preoccupazioni pedagogiche anche attaccandolo senza pietà, quando è il caso. Un professore può modestamente contribuire a formare gli allievi se li tratta senza supponenza né riguardo, correggendoli e facendosi correggere da loro, senza cercare una falsa confidenza che impedisce un reale rapporto. Ho avuto dei maestri e debbo a loro quel poco di libertà interiore che possiedo e che essi mi hanno dato trattandomi da pari a pari, anche quando ciò mi creava notevoli difficoltà dinanzi alla loro statura intellettuale e umana, ma facendomi in tal modo capire che in un dialogo si è sempre pari, anche quando chi ci sta di fronte ha al suo attivo esperienze, prove superate prestazioni intellettuali tanto più alte. È questa rischiosa e buona parità che insegnano i maestri. Essi insegnano soprattutto la responsabilità".
Da Claudio Magris - Utopia e disincanto