Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne


Ho visto tempo fa un film che mi è piaciuto molto: Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne.  
Il personaggio centrale è Cyril di dodici anni  che vive in un istituto dopo aver perso la madre. C’è in lui tutto il dolore dell’abbandono, di un bambino che soffre, che si fida ciecamente di un padre che lo trascura, che non è all'altezza di svolgere il suo ruolo e che, trovandosi in difficoltà, se ne va senza dirgli una parola vendendo, tra le tante cose, l'unico oggetto a cui il bambino è molto legato: la bicicletta. 
Per lui la bicicletta ha un significato speciale:  vuol dire poter correre, l’unico espediente che lo aiuta a non sentirsi solo, che lo illude di poter ancora rincorrere un affetto spezzato, che lo distoglie da una realtà che non vuole accettare. Anche di fronte all'evidenza, infatti, il bambino non sembra arrendersi, nega che il padre possa essersi sbarazzato di lui, non crede che la bicicletta sia stata venduta e vuole a tutti i costi ritrovarla perché suo padre "non può avergli fatto questo!". Ed invece l'ha fatto. 
Per puro caso troverà, invece, Samantha, una giovane parrucchiera, che rimane coinvolta emotivamente dalla rabbia e dalla sofferenza di questo bambino e vuole comprendere le sue difficoltà. Subito gli ricomprerà la bicicletta e lo prenderà con sé nei fine settimana. Giorno dopo giorno imparerà a capirlo, lo aiuterà a ritrovare il padre che costringerà a prendersi almeno la responsabilità delle sue azioni dicendo la verità al figlio: che non vuole più occuparsi di lui. Una verità dura, ma, è convinta che, solo partendo dalla realtà, il bambino potrà tentare di ricostruirsi una nuova vita e nuovi affetti.  
Non è così difficile trovare nella vita reale, nella scuola quindi, ragazzi come Cyril segnati dalla vita, senza affetti, che non si aspettano più nulla, e il cui unico linguaggio è la rabbia che a volte rimane sepolta dentro di loro, altre volte esplode in forme di aggressività più o meno violenta. 

I due registi conoscono queste realtà e l’hanno portata più volte sullo schermo, conoscono la condizione di povertà materiale e psicologica che la società contemporanea gli costruisce attorno e in questo film vogliono dimostrare che c'è una possibilità di riscatto reso possibile da un gesto, un sentimento gratuito. 
"L'amore di Samanta può aiutare il bambino a superare la sua rabbia, a restituirgli l'infanzia che gli è stata negata" - racconta Jean-Pierre Dardenne - "ed è grazie alla sua ostinazione che riesce in questa impresa che sembra impossibile". E continua: "Mentre scrivevamo la sceneggiatura, siamo partiti proprio dalla relazione iniziale tra Cyril e Samantha. Come evolverà? Ci chiedevamo. Come farà questa donna a fargli accettare il proprio amore, nonostante i tanti ostacoli? La resistenza del bambino prima di tutto. Ma nel frattempo è proprio quell'amore che Cyril cerca, lui vuole sentire che qualcuno s'interessi a lui. " 
Cyril  è arrabbiato con il mondo e con la vita, dovrà passare attraverso altri sbagli e altre situazioni pericolose prima di riuscire a scrollarsi di dosso il rancore, e poter credere nel proprio futuro. Samantha questo lo capisce e sa attendere. Lo seguirà in punta di piedi, accettandolo per quello che è e saprà rispettare i suoi tempi, i suoi errori, stando al suo fianco, facendogli sentire la sua presenza. Saprà attendere che il bambino si accorga del suo affetto, che accetti il suo aiuto e la sua guida. 
Forse il film può apparire troppo schematico, troppo semplicistico, ma in realtà è un film essenziale.  Chi ha avuto a che fare con questo tipo di ragazzi, sa che il messaggio va nella direzione giusta: si può al di là di ogni difficoltà sempre fare qualcosa, si possono aiutare tutti i bambini ad uscire dai loro piccoli o grandi tunnel, ma bisogna essere disposti ad affiancarli. 
E non ci sono sempre tanti perché, tante spiegazioni: a volte le cose semplicemente accadono. Accade ad un bambino di perdere i suoi genitori, di non avere il loro affetto senza che lui possa farsene una ragione. Accade che un padre decida di mollare tutto, di fuggire dalla proprie responsabilità per rifarsi una vita, accade che una donna si imbatta (nel vero senso della parola) in un bambino che ha bisogno di aiuto e se ne faccia carico senza essere madre, senza essere un parente. Accade che la vita non sia programmata e che si viva rispondendo a quello che ogni giorno ci presenta e chiede. Siamo noi a dover scegliere, a dire un sì o un no.  
Accade che un bambino che corre, venga rincorso e raggiunto. 
Accadono le cose brutte, ma accadono anche quelle belle. I fratelli Dardenne hanno paragonato questo film ad una fiaba moderna: "Ci sono tutti gli elementi: il ragazzino che è una figura tra Pinocchio e Cappuccetto rosso, il lupo cattivo nella foresta e poi c'è la fata che con il suo amore tenta di salvare il protagonista". Molto vero, e non bisogna dimenticare che le fiabe hanno un fondo di realtà molto forte, che sono più radicate nella vita di quello che si pensi. La crescita è sempre un cammino difficile per i bambini e se essi non trovano degli "aiutanti" che possono essere fate, maghi o qualcos'altro, può essere difficile diventare adulti maturi e sereni. 
Quegli "aiutanti" possiamo essere proprio noi, persone normali che incontrano nella quotidianità uomini, donne, bambini alla ricerca di aiuto.  Tutti possiamo essere Samanta. Il film ci restituisce l’immagine di una donna semplice, senza preparazione specifica, semplicemente “umana”, una donna che sa mettersi in gioco, accettare i rischi e assumersi le sue responsabilità di adulto. Non è un’eroina ed è questo ciò che più mi è piaciuto del film. Non sono gli eroi a salvare il mondo, è lo sforzo di tante persone giorno dopo giorno, di tanti adulti che sanno affrontare le difficoltà, che accompagnano ogni bambino nel proprio cammino senza condannarli ancora prima di averci provato. Samanta prova e riprova e alla fine del film sappiamo che il suo cammino è appena iniziato, ma entrambi sono pronti ad andare avanti senza sapere a priori quale sarà il punto di arrivo.
Dal film si evince una visione critica della società – ci dicono i registi – e anche il fatto che tutti noi quando affrontiamo un problema, tendiamo subito all'egoismo, guardandoci dentro... quando magari dovremo anche concentrarci su quello che succede intorno a noi”. 
In fondo all'incessante ricerca di un posto nel mondo, dopo strade sbagliate e porte chiuse,  il bambino capisce qual è la vera strada di casa e sta con Samantha, l'unica persona che ha dimostrato di sceglierlo e amarlo.  Una scintilla di umanità in un mondo troppo spesso crudele e folle, una donna che fa una scelta forse poco razionale, ma non per questo meno vera e solida in mezzo a tanta ingiustizia e a tanti adulti che rifiutano il loro ruolo: quello di occuparsi dei loro figli e delle generazioni più giovani. In questo film tutte le figure paterne (il padre di Cecyl, il fidanzato di Samantha, lo spacciatore, l’edicolante) rappresentano l’incapacità di assumere rischi e responsabilità. 
Samantha, invece, si prende cura del ragazzino: non per soddisfare, come succederebbe altrove, le proprie frustrazioni, ma perché sa farsi cambiare da un incontro imprevedibile che la interpella. Non c’è un motivo preciso per cui decide di occuparsi del bambino. Lo fa e basta.