SEI PROPRIO SICURO?
QUANDO LA SICUREZZA RENDE IL BAMBINO IMMOBILE
Non arrampicarti! Stai fermo! Composto! Non muoverti! Attento
che cadi! Guarda dove metti i piedi! Finisce che ti fai male! Occhio allo
spigolo! Non camminare scalzo! A pallone non si gioca che può arrivare in
faccia a qualcuno! Scendi da quella sedia! Non correre!Posa quel bastone! Non
raccogliere le cose per terra!Non giocare con la ghiaia che finisce negli occhi
a qualcuno! Non sederti a terra che ti sporchi! Scendi da quella
staccionata! Stai in fila! Non aprire la finestra! Non giocare con le biglie che
le ingoi! Non puoi girare da solo per la scuola! Non toccare! Lo sai che devi
usare le forbici con la punta arrotondata!
Ma se non insegniamo loro a muoversi come potremo evitare che
si facciano male?
La risposta è sempre la stessa nelle sue molteplici varianti:
“Si muoveranno a casa con i loro genitori”, “Se i genitori non li fanno mai
uscire non è colpa mia”, “A forza di stare davanti alla tv non sapranno mai
muoversi nella realtà”, “Non sono autonomi, si farebbero male”, “Se fosse mio
figlio lo lascerei libero di muoversi senza problemi ma sono l’insegnante e non
mi assumo questa responsabilità”.
Eccola lì!
La parola che chiude tutto, la fedele e immancabile compagna
della Sicurezza, la Re-spon-sa-bi-li-tà.
Ma in Danimarca ho visto bambini muoversi liberi ovunque, da
soli fin dai 3 anni, correre vicino a un lago, arrampicarsi, dondolarsi,
lanciarsi e senza mai farsi male!
Sì, ma loro non hanno la responsabilità
che abbiamo noi qui in Italia!
Sì è vero, lo ammetto, non ce l’hanno ma non può ridursi
tutto a questo. Perché la conseguenza è formare generazioni di soprammobili,
pronti ad andare in frantumi al primo piccolo urto. Perché l’eccessiva
sicurezza rischia di generare insicurezza. Soprammobili fragili e pure
insicuri.
E quando parliamo di responsabilità, di normativa, di
sicurezza, siamo poi sicuri che sia tutto vero quello che ci propinano? La
responsabilità penale implica l’intenzione a far male, non la casualità e
quegli 8 euro di assicurazione che paghiamo ogni anno avranno pur qualche
significato o no?
L’ epoca della sicurezza apre la porta a nuove domande, a
nuove preoccupazioni, a nuove diagnosi - come se già quest’ultime non
abbondassero -, a nuove sigle ed etichette perché etichettare, catalogare,
spiegare rassicura (ed eccola di
nuovo lì che si nasconde dentro altre parole la famigerata sicurezza…)
“Se mio figlio si muove
troppo, in classe, potrebbe essere iperattivo?”
Deficit di attenzione e iperattività (ADHD), dislessia,
disgrafia, discalculia, dislalia…
Epidemia.
Epidemia di disturbi per negare il naturale ed istintivo
bisogno del bambino di MUOVERSI, di cadere, di vivere.
Emergono una
iperprotezione e un’ansietà che circondano i bambini, una cultura genitoriale
all’insegna dell’apprensione, piuttosto che dell’attenzione. Genitori
preparatissimi sui mille insidiosi pericoli del mondo d’oggi, che stanno sulle
spine per interrogazioni, prove di verifica e compiti in classe e per il
ritardo agli allenamenti di basket o di danza. D’altra parte sembra quasi che
la condizione dell’infanzia nella società italiana sia una condizione sempre a
rischio. “Parole chiave come fragilità, instabilità, vulnerabilità, disagio,
scrive la psicologa Manuela Trinci, gettonatissime nei talk show sino alle
varie poste del cuore- e, aggiungo io, in certi programmi ministeriali- sono
diventate una ragnatela lessicale che ci imprigiona in una condizione di
permanente debolezza e passività.” Ovviamente tutto in genere si ridimensiona
per quei genitori- molti dei quali sono stranieri- che hanno più di un figlio,
sono fuori casa per lavoro, sono preoccupati per una condizione economica e
sociale precaria (di questo soffrono, sebbene in misura minore, anche gli
italiani) e hanno modi diversi di guardare all’infanzia[1]
Anni di insegnamento universitario sull’inefficacia di una
didattica frontale per poi ritrovarsi nell’impossibilità di posizionare i
banchi diversamente che in file da due separate da almeno 60 cm. Perché? Per la
sicurezza ovviamente, per i 60 cm che ti salveranno la vita in caso di incendio…
Aule strapiene ideali per costringere il bambino all’immobilità,
aule che risultano piccole ma magicamente a norma con insignificanti (davvero
così insignificanti??) accorgimenti quali quelli di posizionare i banchi in
modo guarda caso strategico e propizio proprio a quella didattica frontale che
fior fior di professori, esperti, pedagoghi, insegnanti mi hanno sempre detto
di evitare in quanto morte della scuola democratica.
In Francia un gruppo di
psichiatri dell’Università di Paris VIII ha creato la definizione di “famiglie
elicottero”. Sono quelle che si identificano nel mito della sicurezza totale,
che tengono i propri figli sotto l’elica e si preoccupano che siano “esenti
rischio”. Attentissimi al fronte esterno, ovvero ai mille pericoli del mondo
che sembrano minacciare questi bambini fragili, molti adulti dimenticano il
fronte interno: l’autonomia, la libertà, il diritto dei bambini di crescere
come bambini.[2]
E quando anche la scuola diventa un elicottero, cosa si può
fare per togliere l’elica e trasformarla in aeroplano così da permettere ai
nostri alunni di volare senza l’ombra asfissiante di chi cerca di vivere al
riparo dai rischi?