Grazie Gianfranco!



Oggi vogliamo ricordare Gianfranco Zavalloni, educatore, maestro, dirigente scolastico e burattinaio per passione, scomparso il 19 agosto scorso all’età di 54 anni. Abbiamo pubblicato due suoi importanti interventi sul nostro blog: il primo del 18/12/2011 dal titolo “Strategie didattiche del rallentamento”; il secondo del 17/3/2012, “Cappuccetto, il lupo… e la lentezza”. Invito tutti a leggere questi post, e anche a visitare il sito www.scuolacreativa.it, in cui Gianfranco ci ha lasciato le sue riflessioni sulla scuola e l’educazione, frutto di trentatré anni di insegnamento. In particolare sul sito vi consiglio di leggere i temi de “La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e non violenta”, che riprendono i contenuti del libro omonimo, pubblicato da Zavalloni per la Casa editrice EMI di Bologna nel 2008.


Proprio per preparare queste parole di ricordo, ho letto con attenzione molti dei temi della pedagogia della lumaca che si possono trovare sul sito di Gianfranco. Ho conosciuto - attraverso queste ricche riflessioni, mai astratte, mai pesanti, mai scontate, ma sempre legate a un’esperienza concreta di vita e d’insegnamento - una persona speciale, un precursore dalla sensibilità acutissima di quella revisione della scuola, della sua struttura e dei suoi metodi, che tutti auspichiamo e per cui ci impegniamo - nel piccolo spazio del blog, sui luoghi di lavoro, in famiglia e nel volontariato. Un impegno, in molti casi (nel mio, ad esempio), sorretto da idee ancora confuse, che necessitano di un confronto e di un approfondimento, ma con la piena consapevolezza che tante cose, nella scuola e nel mondo educativo, non vanno, e vanno cambiate.

Ho conosciuto Zavalloni (purtroppo solo virtualmente) proprio sul nostro blog, leggendo il suo scritto “Cappuccetto, il lupo… e la lentezza”. Mi aveva subito colpito la sua capacità di leggere, attraverso il mondo delle fiabe tradizionali (da lui per anni messo in scena e reinterpretato coi burattini e con l’aiuto dei bambini), la sua storia di malattia grave e improvvisa, scoperta il 18 ottobre 2011, e che il 19 agosto di quest’anno l’ha portato alla morte. Non so quanti, tra insegnanti, educatori, scrittori, avrebbero avuto la forza di leggere in maniera così lucida e ironica (a proposito di ironia, leggetevi tra i temi lo scritto “Ridere a scuola fa bene”) l’avvento drammatico e inaspettato di una grave malattia nella propria vita. Non di rileggere quest’avvento a malattia conclusa, ma di leggerlo in fieri, con l’incertezza della sua evoluzione e la consapevolezza della sua gravità, e di trarne una morale, che Gianfranco condensa in quattro parole chiave: FERMARSI, AFFIDARSI, SEMPLIFICARE, CURARSI, RINGRAZIARE. Concludendo infine il suo intervento con le parole: “La nostra vita cambia e si tocca concretamente il senso del limite: la piccolezza di noi esseri umani”.

Riflettendo in questi mesi sul significato del nostro blog, ci siamo più volte resi conto di quanto i siti, i blog, i forum, che pure parlano dei medesimi temi con approcci tra loro consonanti, rischiano nel tempo di viaggiare paralleli, senza mai incontrarsi o incontrandosi solo di rado, ma difficilmente fecondandosi. Non è sufficiente il link a un sito amico perché vi sia profonda e continua contaminazione d’idee e autentico dialogo. Bisogna che alcuni partecipanti si prendano l’impegno di fare un lavoro costante d’importazione/esportazione di brani e contenuti. La morte di Gianfranco e la lettura dei suoi bellissimi temi della pedagogia della lumaca mi hanno fatto capire che non possiamo lasciare in rete le sue riflessioni nella speranza che altri, oltre a noi, le leggano, ma dobbiamo farle rivivere periodicamente nel blog, sollecitando commenti e nuovi inserti. Vorrei insomma che Gianfranco continuasse a vivere con noi attraverso i suoi scritti postati e commentati. Per questo dirò ora solo alcune parole su ciò che mi ha colpito di quel che ho letto di Zavalloni. Perché mi auguro che d’ora in poi, periodicamente, si possano commentare i suoi scritti su questo blog.

Penso che una delle grandi ricchezze del percorso formativo di Gianfranco sia di essere stato per 16 anni maestro di scuola dell’infanzia. Ha potuto così comprendere una cosa che dimentichiamo molto spesso: quanta continuità vi debba essere tra scuola materna e scuola dell’obbligo. Tra i tre e i sei anni i bambini hanno la possibilità di “giocare a imparare”. Le azioni di disegnare, manipolare, colorare, incollare, raccontare, ascoltare sono fatte con passione, senza alcuno scopo agonistico. Alle elementari gli insegnanti iniziano a dare un voto a tutto ciò che prima era fatto per gioco e con passione. Le conseguenze di questo salto secondo Gianfranco sono tre: 1) i bambini iniziano a fare qualsiasi attività non più per piacere, ma per dovere, con un’aspirazione/ansia del “buon” giudizio, con una tensione verso il risultato che annulla il piacere del compito e del processo; 2) gli insegnanti sono travolti da pericolosi periodi di stress per dover fare “prove d’ingresso e di verifica”; 3) fra molti genitori inizia la rincorsa al “buon voto”, innescando spesso il fenomeno della competizione fra compagni di classe, che non riescono più ad aiutarsi fra amici, ma sono spinti a una corsa individuale per arrivare prima degli altri compagni. Zavalloni propone, per ovviare a tutto questo, di abolire il voto, di abolire il concetto (economico e non educativo) di “profitto scolastico”. E di porci alcune domande apparentemente banali: perché si va a scuola? qual è il fine ultimo dell’imparare? (da “Il voto e l’ansia”, uno dei temi della pedagogia della lumaca)

Concludo questo saluto a Gianfranco riflettendo sul tema da lui trattato ne“Lamorte e i cimiteri”, che caldamente consiglio di leggere, anche alla luce della sua recente morte. Zavalloni vi racconta la sua esperienza con i bambini della scuola materna, di come abbia affrontato semplicemente il tema della morte con bimbi di quest’età portandoli spesso al cimitero. E, dopo altre considerazioni, riprende la proposta del pittore e architetto austriaco Hundertwasser di realizzare non dei camposanti, ma dei “boscosanti”, in cui gli esseri umani siano sepolti in casse non ermeticamente chiuse, a mezzo metro dalla superficie, su cui sarà poi piantato un albero (diverso per ciascuno), che crescendo accoglierà in sé qualcosa del morto. “Quando ci si recherà alla tomba, non si farà visita a un morto, bensì a un essere vivente che si è trasformato in albero, che continua a vivere nell’albero”. Ecco, a me è venuto in mente che l’albero che potrebbe crescere sulla tomba di Gianfranco è quello di cui Gesù parla in una delle sue parabole: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”.

Grazie Gianfranco, per la tua umiltà, semplicità, profondità e grandezza!