Il premio al “merito” aiuta davvero i ragazzi "migliori"?
Anche
questo governo, nonostante sia un governo di transizione e di emergenza, non
può fare a meno di lasciare la propria impronta sulla già tanto martoriata
scuola pubblica. Quello che accomuna l’attuale ministro dell’istruzione con
quello del governo precedente è l’idea che la scuola possa migliorare solo
attraverso punizioni e premi.
La
Gelmini molto si è prodigata per dare “armi” agli insegnanti per affrontare
l’indisciplina: il cinque in condotta. Una legge “efficace” dal suo punto di
vista, dal momento che in quell’anno 63.525
studenti delle scuole secondarie di I e II grado hanno
riportato un voto insufficiente nel comportamento (l`anno prima invece erano
stati 52.344). Ma La Gelmini non si è fermata qui: l’insufficienza in una materia può
impedire il passaggio alla classe successiva. Il cinque in condotta avrebbe, quindi, tagliato
le gambe agli indisciplinati, il cinque nelle materie avrebbe incentivato tutti
a studiare pena la bocciatura.
Le parole
non sono usate invano e possono essere pericolose. Si parla di premiare i
“meritevoli”, si dice che i ragazzi non sono abbastanza in competizione fra di
loro. La sensazione è che non ci sia mai la volontà di comprendere fino in
fondo cosa vogliono dire le parole che si usano, ciò che si intende dire con
queste parole, non si mettono in luce gli effetti che queste parole possono
avere sul modo di vedere il mondo (in questo caso la scuola). Si naviga sulla
superficie di un mare senza voler comprendere quali conseguenze potrebbero
avere nel tempo certe prese di posizioni. Gli effetti si vedranno dopo.
Come dice
Asor Rosa “L'idea che si migliora la scuola trasformandola in una corsa a
ostacoli è letale”.
La prima
domanda che ci poniamo è: si fa il bene di chi? La risposta può risultare ovvia:
difendere e incentivare i più impegnati a scuola, i più bravi che in altro modo
sono stati chiamati “eccellenze”, e se sono “eccellenze” perché non blasonarli?
Sembrerebbe
funzionare, almeno per questi “bravi ragazzi”, ma non tutti la pensano in
questo modo. Interessante la testimonianza di un primo della classe “doc”: Asor
Rosa.
“Ho passato la mia infanzia e la mia adolescenza a tentare di conseguire, dalla prima elementare alla terzo liceo classica (ahimè, riuscendovi) il riconoscimento, implicito, certo, ma anch' esso prestigioso, di "primo della classe". So bene, dunque, di che si tratta. Solo quando sono arrivato all'Università ho capito che avere compagni migliori, e ne ho avuti, era molto meglio che dannarsi ad essere il migliore”.
Benasayag,
d’altro canto, occupandosi ogni giorno
come psicoterapeuta del disagio giovanile, ha evidenziato gli effetti deleteri
di una competizione spinta e ha concluso con queste dichiarazioni che
sottolineano la necessità e il bisogno di tutti i ragazzi anche quelli più
dotati e “normali” di:
poter assumere e abitare le molteplici dimensioni
della fragilità (…) Infatti è proprio là dove nessuno guarda, in quel ‘niente
da segnalare’ della norma che una serie di esseri umani vivono nella paura
permanente di ‘dover essere forti’, ‘all’altezza’’” recidendo “ogni legame con
le dimensioni della propria fragilità e complessità".
La corsa al
merito porterebbe in competizione non solo ragazzi, ma genitori e insegnanti.
Chi non vorrebbe avere un figlio o un alunno migliore di tutti gli altri? Una
china molto pericolosa per uno sviluppo e una crescita serena dei nostri figli.
Altro è dire, come argomenta Rossi Doria, che ragazzi “poveri e di
straordinario talento costretti per indigenza ad abbandonare la scuola” devono
essere aiutati economicamente, altro è volerli premiare solo per la loro
bravura a scuola che li costringe a dover corrispondere all’immagine che gli
altri hanno di loro. E il pericolo, come dice Binswanger,
Queste sono solo le prime riflessioni, perché non si può non guardare alla complessità dei problemi, riducendo tutto
a slogan o a facili ricette che, a nostro avviso, sottendono però sempre una filosofia nascosta. Per
questo seguiranno altri post di riflessione su questi temi. Del resto si era
parlato di meritocrazia anche nell’intervista a Canevaro che troverete qui.
Maria ed Emilia