Preziosi e fragili come cristalli
Ieri sera, per la prima volta, ho visto il film
“Into the Wild”, di Sean Penn, uscito nel 2008. Non ricordo di aver mai pianto tanto
durante e dopo la visione di un film. Penso che questa profonda commozione
abbia a che fare con la mia vita passata di ragazza, e anche inaspettatamente
con la mia vita attuale, di donna adulta, ma il motivo per cui ne scrivo su
questo blog è che, a parte le risonanze e l’identificazione emotiva che mi
riguardano, penso che questo film possa dirci qualcosa di molto importante sui
ragazzi di cui siamo genitori o insegnanti, sulla loro sete di verità e sul
loro essere preziosi e fragili come cristalli.
Ne consiglio a tutti la visione. Ora però, con grande senso di inadeguatezza e sapendo di rendere solo una minima parte della forza e bellezza del film, sarò costretta a farne una breve sintesi, in modo che le mie considerazioni possano essere comprese anche da chi non l’ha visto. E’ la storia di un brillante ragazzo di un’agiata famiglia americana, che terminata l’università a 22 anni decide di allontanarsi da casa facendo perdere le proprie tracce, di devolvere tutti i suoi soldi in beneficienza, di bruciare i contanti rimastigli in tasca e di camminare nella natura e tra gli ultimi d’America, alla ricerca della libertà e autenticità che la carriera nel mondo gli avrebbero impedito, ma soprattutto alla ricerca di verità rispetto ai faticosi rapporti familiari. Suoi compagni di viaggio sono i libri, quelli di Tolstoi in particolare. Quando finalmente - grazie ad incontri affettivamente rilevanti con persone anch’esse uscite dal “sistema”, all’esperienza di solitudine totale immerso nella natura dell’Alaska, alla scrittura di un diario e alla lettura di Tolstoi - comprende che è arrivato il tempo di tornare nel mondo (non il mondo dei suoi genitori, ma il suo nuovo mondo, costruito sui suoi valori), il ragazzo si trova impossibilitato a uscire da quel lembo di terra al di là del fiume sul quale per quattro mesi ha vissuto. Il fiume si è ingrossato per il disgelo, non è attraversabile, il ragazzo non trova più animali da cacciare e muore di fame, solo, nel furgone abbandonato in cui aveva trovato rifugio, ma comprendendo nella lunga agonia che l’unica felicità è quella condivisa e che forse, se solo i suoi genitori avessero capito ciò che lui in quel momento capiva, come in una visione, ci sarebbe stata la possibilità di un riavvicinamento.
Il film è tratto da una storia vera. Oltre a
essere la storia vera di Chris McCandless, è anche la storia che tanti di noi e
dei nostri ragazzi hanno vissuto, quella della disperata ricerca di
riconoscimento e comprensione da parte dei propri genitori e insegnanti,
l’essere riconosciuti e amati nella propria singolarità, anche quando questa
delude le aspettative altrui, fuoriesce dalla norma, eccede, prende altre
strade, la propria strada. La storia vera di tanti che, come il protagonista
del film, hanno chiesto da bambini e adolescenti ai propri genitori in primo
luogo l’autenticità, l’onestà, la verità sulla loro vita e le loro scelte. Quei
tanti che hanno chiesto ai genitori - a parole o più spesso nel chiedere muto
dei sintomi e del pianto - che lo scarto tra l’immagine pubblica della propria
famiglia e la realtà della dimensione familiare privata non fosse di tale entità
da costituire un baratro. Il fiume della vita di Chris inverte drammaticamente
il proprio corso - così racconta la sorella - nel momento in cui scopre che il
padre ha un figlio da un’altra donna, sua legittima moglie da cui non ha mai
divorziato. Questo segreto, tenuto custodito dal padre e dalla madre, garanzia
di rispettabilità sociale per sé e i propri figli, quando da lontani parenti
sarà rivelato al ragazzo diverrà anche per lui peso inconfessabile, se non alla
sorella. E’ la storia vera di tanti di noi che, persa fiducia nel racconto di
sé, della propria storia, perché delusi da troppe orecchie incapaci di
ascoltare, cercano comunque la verità in scelte estreme, autolesioniste, pericolose
per la propria vita, talvolta fino a morirne.
Non ho potuto riportare i bellissimi brani con
cui la sorella del ragazzo commenta a posteriori la sua scelta di autenticità
fino alla perdita della propria vita. Questo perché sarei stata costretta a
rivedere il film per poter citare, e stasera mi è emotivamente impossibile
farlo. Ho quindi scritto ciò che ricordo e che più mi ha colpito a ventiquattr’ore
di distanza. Ma lo rivedrò, leggero il libro da cui é tratto, e vi prometto, ve
ne parlerò ancora.
Chiara