Coltivare l’amicizia attraverso la riflessione

L’altro interrogativo con cui abbiamo aperto il blog è: "c’è a scuola oggi spazio per la riflessione"? Una riflessione che può scaturire da un pensiero sul proprio agire individuale, ma che poi deve confrontarsi col pensiero individuale dell’altro. Pensieri che non dovrebbero diventare contrapposizioni, ma sollecitazioni a metter in comune i propri punti di vista per ragionare su di essi partendo da ciò che capita nella quotidianità: solo la riflessione, infatti, può trasformare  ciò che accade in vera e propria esperienza.
Troppo spesso la nostra vita e il nostro fare è segnato dall’urgenza, dalla fretta, dalla paura di non essere “al passo con gli altri” e dalle incombenze che via via ci pressano. Gli “invalsi” di cui abbiamo parlato nel precedente post sono un esempio tra i tanti. Il tempo del nostro stare insieme è colmato da queste incombenze che nulla hanno a che fare con i problemi più concreti e vitali del nostro stare a scuola. 

Quando, poi, si sta insieme in modo amicale, ogni discorso su ciò che facciamo, su ciò di cui siamo responsabili, sui problemi, sugli insuccessi che ci troviamo ad affrontare deve scomparire. I problemi si accumulano, non si risolvono, noi siamo sempre più demotivati e stressati e nulla acquista significato e senso.
Hanna Arendt ci indica come indispensabile alternativa la «riscoperta della politica», non quella istituzionale e dei palazzi del potere, ma quella che coinvolge ciascuno di noi, quella politica che ci aiuterebbe a non sentirci più soli, che ci insegnerebbe a stare insieme per condividere, a «essere in comune». a sentirci responsabili del pezzettino di mondo che abitiamo. Sarebbe allora necessario impegnarsi a conquistare quegli spazi di libertà, senza i quali non si ricostruisce la “polis” dell'uomo, a costruirli per evitare quello che la studiosa chiama "l'emigrazione interiore”, la fuga da situazioni complesse che non sappiamo affrontare per rifugiarsi nell'evasione, nella ricerca del di-vertimento (il “volgere altrove” lo sguardo) e di quegli amici che ci aiutano appunto a "non pensare".
Un’amicizia da cui sono in un certo senso banditi quelli che ci vorrebbero portare a ragionare su queste questioni (“Ma dai non ci pensare, adesso pensa a divertirti).

Oggi siamo abituati – dicela Arendt – a vedere nell'amico solo un fenomeno di intimità, in cui gli amici aprono la loro anima senza tener conto del mondo e delle sue esigenze”.

Per la filosofa l’amicizia vera deve, invece, aprirsi al dialogo che “per quanto intriso del piacere relativo alla presenza dell’amico si occupa del mondo comune, che rimane ‘inumano’ in un senso del tutto letterale finché delle persone non ne fanno costantemente un argomento di discorso tra loro”. E l'incontro con questo tipo di amici ci aiuta ad entrare e non ad uscire nel mondo che abitiamo con più consapevolezza e forza “accettando il cambiamento di ciascuno  che ne deriverà”.

La filosofa, quindi, auspica per tutti «il dono dell’amicizia, con l’apertura al mondo, infine con l’amore genuino per il genere umano». Questo modo di concepire la nostra “umanità” ci permette di “dialogare con un maomettano convinto, un ebreo pio o un cristiano credente”.

La filosofa aggiunge: “per i Greci l’essenza dell’amicizia consisteva nel discorso. Essi sostenevano che solo un costante scambio di parole poteva unire i cittadini in una polis […] Chiamavano filantropia questa umanità che si realizza nel dialogo dell’amicizia, poiché essa si manifesta nella disponibilità a condividere il mondo con altri uomini”. L’amicizia presuppone, quindi, la nozione di umanità e insieme il radicarsi nel mondo. Dove si realizza, infatti, un’amicizia pura lì si “produce una scintilla di umanità in un mondo divenuto inumano” . Solo così avremo il coraggio di “non sopportare in silenzio ciò che accade” a noi e intorno a noi per acquisire quella capacità di mettere in dubbio e di esaminare ogni cosa. Usciremo in questo modo da quella passività e rassegnazione che può presto trasformarsi in pericolosa indifferenza e assuefazione all'ingiustizia.

Emilia e Maria