Il relativismo e la verità assoluta, ovvero la diversità è ricchezza

Il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, autore, tra l’altro, dei film “Pane e fiore” e “Kandahar” racconta:
“Dio aveva in mano un grande specchio dentro il quale vedeva la verità; lo frantumò e ne assegnò un pezzettino ad ogni essere umano. Ogni uomo, dunque, può vedere un pezzettino di verità. Ma solo mettendo assieme i frammenti dello specchio si potrà avere una visione completa, anche se mai lo specchio così ricostruito potrà restituire l’immagine limpida della verità vista da Dio, che nello specchio si riflette"
Ogni uomo ha del mondo una visione sua, un suo punto di vista, che dipende dalle esperienze fatte, dal tempo storico e dal contesto in cui vive, dal carattere, dall’educazione che ha ricevuto. Insomma, come diceva Protagora, "l’uomo è misura di tutte le cose". Ma in questo nostro strano mondo, in cui ognuno pretende di avere il filo diretto con la Verità, di avere un rapporto preferenziale con Dio (dimenticando che Dio è padre [o madre?] di tutta l’umanità) e di conseguenza di avere la VERITA’ in esclusiva, tendiamo a dimenticare che ogni uomo ha solo un tassello di un puzzle. E come sanno tutti coloro che si dilettano a fare i puzzle, i tasselli non sono tutti uguali, alcuni hanno un solo colore e rappresentano un angolo di cielo o di mare, altri, invece, hanno un intricato intreccio di colori, e rappresentano una parte del panorama o dell’erba, o le ali d’una farfalla, o altro, ma provate a perdere un tassello, anche il più banale, il puzzle sarà incompleto, sembrerà rotto, senza senso. Solo quando impareremo ad ascoltarci l’un l’altro da bravi fratelli, figli dell’unico Dio, potremo unire i nostri tasselli di puzzle, mettere insieme la nostra parte di verità, di cui siamo portatori, piccola o grande, articolata e complessa, o semplice, in quanto noi siamo "misura". E solo così mettendoci insieme potremo sperare di ricostruire il grande puzzle della verità, in cui è rappresentato il volto di Dio.

E così anche a scuola ogni alunno, qualunque sia la sua provenienza culturale o sociale, qualunque sia il suo portato umano è indispensabile per l’insegnante e per la realtà stessa della classe.
Se vogliamo insegnare il rispetto dell’altro e l’accettazione della diversità, impariamo noi per primi che la diversità è ricchezza, e, quando ne saremo convinti e consapevoli, sapremo insegnarla, perché, come diceva Jean Jaurés
"Non si insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: si insegna e si può insegnare solo quello che si è".
Ha pubblicato questo post I-care, insegnante al liceo di Ragusa. dal suo blog Storia dopo storia.