Dalla sofferenza degli altri ho imparato a vincere le mie paure


Abbiamo fin dall’inizio detto che avremmo preso qualche vostro commento per aprire nuovi temi di discussione. Alessandro ci ha parlato in un commento ad un post precedente di se stesso a scuola, delle sue difficoltà e di come le abbia superate. Lo troviamo uno stimolo interessante. Sarebbe bello che altri raccontassero la loro scuola, come l’hanno vissuta, cosa c’è stato di positivo e negativo, cosa è successo dopo. Apriamo quindi questa nuova rubrica con il racconto che Alessandro fa di sé negli anni scolastici e non solo.
Premetto di non essere un operatore scolastico anche se per diverse circostanze ci sto a contatto …Spesso mi chiedo come sono io, voglio capirmi e soprattutto comprendere dove e come sbaglio.
Non sempre sono stato capito, e non perché chi mi stava davanti non ne fosse all’altezza, sia che fosse un insegnante sia che fosse un compagno di scuola.
Ero terribilmente timido, taciturno, tendevo ad isolarmi da tutto e tutti; questi lati del mio carattere costituivano per me un freno nella vita sociale, nella vita scolastica e non solo: una interrogazione per me era scena muta, non perché non studiassi, ma perché avevo difficoltà di parlare, avevo paura di non essere capito, avevo difficoltà a dialogar per la paura di essere giudicato o deriso dai compagni …
La scuola è stata per questi motivi difficile.

Crescendo si cambia, la vita ti cambia, la società e il progresso ti cambia in meglio o in peggio, dipende dalle circostanze …
Cito il mio esempio di vita professionale che, per molti aspetti, non si discosta troppo da quello scolastico: l’ambiente sanitario ospedaliero: vi chiederete perché per certi aspetti è simile a quello scolastico. Tralasciando gli aspetti prettamente sanitari, un paziente, una persona che entra in ospedale lo fa per un motivo ben preciso, per un bisogno (la salute); entra lasciando tutto ciò che possiede "fuori" dal nuovo contesto in cui si trova; in genere si sente "denudato" di tutto, affetti compresi: si sente una "cosa", un numero di letto, un corpo da esplorare, toccare, violare con tecniche più o meno invasive …. Spesso chi entra in ospedale cade in depressione, diventa apatico, rassegnato, ha paura …
Vi ho raccontato tutto questo solo per dire che dalla sofferenza degli altri ho imparato a vincere le mie paure, le mie timidezze e ho imparato ad affrontare i problemi di chi è in difficoltà: ho avuto la possibilità di aiutare chi, in un momento critico, ha bisogno di tutto.
Essere in ospedale è molto difficile e il disagio che si prova dipende dall’età, dall’estrazione sociale e da tanti altri fattori. Un anziano, per esempio, tende a lasciarsi andare se lo togli dall’ambiente in cui ha sempre vissuto, tende a non alimentarsi, parla poco e se lo fa spera nella morte. Un bambino ospedalizzato ha paura del distacco dai genitori e tante altre cose.

Per farla breve (anche perché rischio di andare fuori tema), il discorso si riduce in poche parole: è fondamentale avere "l’arte della comunicazione", avere la capacità di "leggere" i messaggi non verbali, è indispensabile. Costanza nel suo intervento dice che bisogna avere pazienza, che i bambini hanno difficoltà di comunicare; la stessa cosa succede in ospedale: è difficile per un bambino farti spiegare un sintomo, dove lo sente, con quale intensità etc … e difficilmente parlano se non hai l’abilità di "conquistare" la loro fiducia, magari giocando, parlandogli delle cose più elementari; la stessa cosa avviene con gli anziani: se riesci a conquistare la loro fiducia si aprono, ti aspettano, si confidano, si fanno curare …
Quello che ( a mio avviso ) dovrebbe avvenire a scuola : la scuola è di tutti, come anche la salute è un bene di tutti; in pratica, anche se in diversa forma, la cosa viaggia in parallelo …
Saper comunicare, saper agire interpretando i messaggi verbali o non, sta nella nostra abilità di cogliere il momento giusto, rapportarsi nel modo giusto, anche se devo ammettere che è molto difficile al giorno d’oggi sia in campo scolastico che sanitario.